Agricoltura che fare?
L’ultimo censimento dell’agricoltura, realizzato nel 2021 dall’Istat, fotografa l’agricoltura
italiana confrontandola con quella del passato. Se dal 2010 al 2020 il numero di aziende
agricole è diminuito di ben 487.000 unità (ovvero da 1.620.884 a 1.133.023), fa effetto
osservare che nel 1980 le aziende agricole attive in Italia erano 3.133.118, con una SAU di 5
ettari che nel 2020 è salita a 11,5 ettari.
I numeri ci dicono anche che in dieci anni gli ordinamenti colturali sono rimasti invariati, con i
seminativi in testa che occupano il 57% di tutta la SAU italiana, seguiti da prati e pascoli
(25% della SAU totale) e colture arboree (17% della SAU).
Aziende familiari e con pochi giovani
Sempre in base ai dati Istat, emerge che la nostra agricoltura rimane un settore a impronta
familiare e diminuisce l’intensità di manodopera. Il ricambio generazionale è ancora
un’illusione: nel 2020 i capi azienda come meno di 44 anni sono il 13%, mentre nel 2010
erano il 17%.
Preoccupante è anche l’aspetto della formazione professionale: poco meno del 59% degli
attivi è in possesso di licenzia media. È evidente che questo aspetto dovrebbe essere
messo al centro di una seria e lungimirante politica agricola nazionale utilizzando meglio
quelle risorse dei Psr destinate a questo obiettivo che hanno clamorosamente fallito per
eccesso di burocrazia.
Digitalizzazione: occorre l’assistenza in campo
Anche la digitalizzazione procede un po’ a rilento, passando dal 3,8% del 2010 al 15% del 2020. Le imprese dirette dai giovani mostrano una progressione maggiore, dato che il tasso
di digitalizzazione sale al 33%. Al contrario, dove il capo azienda ha più di 65 anni il tasso di
digitalizzazione precipita al 7%.
Anche in questo caso il problema va affrontato: occorre un’assistenza diretta e continuativa
nell’azienda agricola, se si vuole che l’innovazione trovi completa applicazione.
Aumentano i terreni in affitto
Infine, il censimento segnala che cresce la percentuale di terreni in affitto, passando dal 10%
al 20% in dieci anni. Questo è a nostro parere un buon segnale: chi non si sente più in grado
di portare avanti bene la terra, che si tenga la proprietà ma affidi la gestione a chi ha più
competenze. Magari abbassando un po’ le pretese circa il canone di affitto.
